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Storia del Gin

Quando si parla di gin, quasi in automatico, viene da pensare all’Inghilterra; lo stesso vale per la Russia con la vodka, il Messico per la tequila, etc.
Ma se invece ci sbagliassimo e la storia fosse un po' diversa?

Prima di tutto, quando si parla di gin bisogna parlare di ginepro. Il ginepro è un arbusto che cresce preferibilmente in ambiente montano e in un clima temperato freddo, anche sino a 2200 metri di altitudine. È presente in tutto il mondo e ne esistono 65 specie diverse.

Nel Medioevo, si era già a conoscenza delle sue doti curative per lo stomaco; nei Paesi Bassi decotti di bacche di ginepro erano impiegati proprio contro crampi e dolori allo stomaco. Nel XIV secolo acquaviti al ginepro venivano addirittura usate contro la peste nera.
Il primo proto-gin però è italiano. Nel XI secolo in Italia si produceva già un liquore a base di acquavite e ginepro, ed è nel 1055 che monaci e farmacisti del salernitano crearono un distillato di vino infuso con bacche di ginepro.

Il primo a parlare di gin in quanto bevanda sembra essere un medico di Anversa, Philippus Hermanni, che nel XVI secolo menzionò in un suo libro l’acqua Juniperi, ben 98 anni prima dell’olandese che molti reputano il vero inventore del gin, Franciscus Sylvius, con il suo jenever.
I soldati inglesi avevano già avuto occasione di conoscere il jenever, o “coraggio olandese” (“Dutch courage”), in occasione della Guerra dei Trent’Anni (1618-1648) e lo avevano portato in patria con sé al termine. Inoltre, la salita al trono di Guglielmo III d’Orange nel 1689 aveva naturalmente favorito l’arrivo sull’isola britannica del distillato che, essendo a base di grano e non di vino, poteva facilmente essere prodotto anche in Inghilterra. Dato però il gusto troppo dolce della bevanda olandese, gli inglesi iniziarono a produrlo eliminando lo zucchero, dando così vita all’”English gin”.

Quando nel 1690 il monarca emanò il “Distilling Act”, la produzione di gin su suolo britannico aumentò a dismisura. L’intenzione di Guglielmo III era quella di proibire l’importazione di acquaviti dall’estero, in particolare dalla Francia, nemico giurato, incoraggiando allo stesso tempo la distillazione del gin su suolo britannico per colmare il vuoto lasciato dalla mancanza di bevande alcoliche estere. In assenza di restrizioni e con le tasse sulla realizzazione che rimanevano basse, la diffusione di gin aumentò vertiginosamente.

Fra le classi sociali più alte, bere il distillato preferito del re era un implicito sostegno alla causa protestante di Guglielmo III d’Orange, ma il consumo della bevanda si propagò facilmente anche alle altre classi sociali. In un’Inghilterra afflitta dalla scarsità di cibo, molto spesso il gin, grazie anche al suo basso costo, rappresentava per le famiglie povere l’unico sostegno alimentare. Grazie alla sua funzione rinvigorente e alla capacità di placare gli attacchi di fame, veniva addirittura consumato a ogni ora del giorno e della notte.

Ciò portò ben presto però a una diffusione del fenomeno dell’alcolismo che ebbe come conseguenza un drastico aumento della mortalità, soprattutto infantile, poiché le madri, ubriache, non si occupavano dei propri figli, e della criminalità, visto che la popolazione, alterata dall’alcol, diventava più violenta. Questo terribile periodo che ha caratterizzato l’Inghilterra della prima metà del Settecento è conosciuto come “Gin Craze.”

Dopo svariati maldestri tentativi di mettere un freno al consumo, alla rivendita e produzione illegale del gin (basti pensare che le prime leggi penalizzavano le distillerie legali e non gli altri), finalmente nel 1751 venne varato il “Tippling Act”, cioè “legge del cicchetto”. Passato alla storia come “Gin Act”, questo decreto imponeva il pagamento di una licenza annuale da parte delle distillerie di £5, equivalenti a £584 odierne. Un’altra clausola prevedeva che le stesse distillerie non potessero vendere direttamente ai consumatori e che il prodotto non potesse essere consumato all’interno del loro edificio. Chi veniva colto in violazione della legge, poteva ricevere una multa, essere costretto ai lavori forzati o venire deportato in un qualsiasi territorio del regno1.

Si deve comunque aggiungere che, a partire dal 1743, una serie di cattivi raccolti di grano contribuì a diminuire la produzione di gin.

Fu con la fine di questo periodo nero che iniziarono a nascere, con l’apertura delle grandi distillerie, i primi gin di qualità.

La prima distilleria fu fondata nel 1761 da Thomas Dakin, un giovane ragazzo di soli 25 anni; dal 1860 essa passò a Gilbert e John Greenall, i quali proseguirono la tradizione donando alla casa il nome di Greenall’s. Attualmente si tratta della più antica distilleria dell’Inghilterra.

Un altro a investire sul gin di qualità, fu l’imprenditore scozzese Alexander Gordon, che nel 1769 fondò l’omonima distilleria a Londra, nell’area di Southwark, zona conosciuta per la purezza dell’acqua. Nel 1900 la Gordon’s si fuse con la Tanqueray, nata nel 1830, diventando la più grande casa produttrice di gin al mondo.

Col passare degli anni il gin di qualità prese sempre più piede, con l’apertura di nuove distillerie, per esempio la Plymouth nel 1793, la Beefeather nel 1876 o più recentemente la Bombay Sapphire, nel 1988.

Ad oggi il gin è uno dei distillati più famosi e venduti a livello internazionale con una continua crescita, basti pensare che viene prodotto oramai in quasi tutto il mondo.

Alessandro Grasso